"Scrivere poesie non è difficile.Difficile è viverle.." Charles Bukowsky

mercoledì 11 giugno 2014

E' morto il poeta e scrittore Luca Canali




E' morto il poeta LUCA CANALI uno dei miei autori preferiti.

....tratto dall'articolo di ALESSANDRO PIPERNO del Corriere della Sera.

Anni fa, imbattendomi in «Qualcosa è cambiato» — uno spassoso film in cui Jack Nicholson veste i panni di uno scrittore recluso che cerca di esorcizzare coazioni nevrotiche di ogni sorta attraverso la pratica non meno compulsiva della scrittura — pensai a Luca Canali. Per me un caro amico, appena scomparso, una specie di mentore, a suo modo un impareggiabile maestro di stile.

Ricordo che gliene parlai, e gli dissi anche che il vecchio Jack alla fine del film se la cavava piuttosto bene: Hollywood sa come chiudere in bellezza le sue fiabe e ricompensare i suoi eroi. «Qualcosa è cambiato? — disse lui contrariato — beh, mi sa che per me non cambierà un bel niente». Era piuttosto irritato che paragonassi una commedia sentimentale alla sua vita. Non ne parlerei in modo così impudico — del disagio psichico, intendo — se esso non fosse il tema dominante di tutta la narrativa e dell’intera esistenza di Luca Canali. Una volta mi disse che, a dispetto di quello che pensano certi romantici ciarlatani, nulla è meno creativo del disagio psichico. E parlava (come al solito) con cognizione di causa. A quarant’anni Luca Canali era un uomo bellissimo, un disincantato libertino, alle spalle la Resistenza e una militanza tosta nel Pci (quando essere comunisti era roba seria) finita con un’abiura dopo i fatti di Ungheria.

Una solennità baudelairiana

Allievo riottoso e dissidente di Paratore, era da poco diventato ordinario di Letteratura latina. Frattanto aveva già iniziato la sua formidabile carriera di traduttore (Cesare, Catullo, Lucrezio...). Un suo libro bizzarro, La resistenza impura, era stato pubblicamente elogiato da Montale. Inoltre, Canali aveva prestato la sua consulenza a Fellini che stava girando il Satyricon. Poi il crollo, i ricoveri, la lunga clausura nelle tenebre dello spirito. Quando lo conobbi questa era già storia. Alla quale aveva dedicato tre libri spudorati: Autobiografia di un baro, Amate ombre e Spezzare l’assedio. Tre titoli, converrete con me, bellissimi. Che dicono tutto di Canali. Il suo desiderio di auto-calunniarsi, la sua nostalgia straziante per chi non c’è più e la lotta per liberarsi dall’assedio della malattia. Il modo attraverso il quale Canali teneva a bada tutto questo caos era la sintassi. Deliberatamente ispirata a quella latina, la sintassi di Canali conferiva alla prosa una specie di solennità baudelairiana. Un assaggio? All’inizio di un racconto si sta rivolgendo direttamente a un amico morto, di nome Pietro: «Pietro, tu eri Pietro, ma sulla tua pietra nessuno edificherà la sua chiesa. All’amico venuto in città dal suo regno di provincia per indiscutibili impegni familiari e industriali, oltre che come sempre ognuno per chi sa quale oscuro eterodosso miraggio, e certo per rintracciare passi e amici perduti, mi sono dimenticato di dire di te, che non eri più sulla terra, ma sotto, parallelo a tanti altri, orizzontale, a decomporti con il lombrico, la buccia di patata, il seme d’orzo, l’orina del randagio».

Eccolo qui, Canali allo stato puro

C’è tutto il suo materialismo, c’è l’orrore per la decomposizione. C’è l’involuzione sintattica al servizio di un pensiero disperato. Il lessico preciso e brutale. C’è l’immaginazione macabra smussata dalla pietà e dalla tenerezza. C’è, anche se dietro le quinte, la sua Roma. Una specie di sintesi tra la Roma di Augusto e quella degli artisti di via Margutta. Il cinismo, la violenza, il sesso. Tutto mescolato. Nella mia vita non ho mai incontrato un uomo più consapevolmente (vorrei dire virilmente, se non suonasse sessista) disperato di Luca Canali. La vita non ha senso. E neppure la morte ce l’ha. Dio non esiste. Il Diavolo fa ridere i polli. La sola verità è il corpo e la materia. È tutto lì. Non c’è altro. Non a caso Canali venerava Lucrezio, Leopardi e Joyce. Non che avessero qualcosa in comune (o forse sì), ma certo tutti e tre, e ciascuno in modo diverso, coltivavano un’idea non proprio idilliaca della condizione umana. È un vero peccato che Canali abbia scritto così tanto. Che non sia riuscito a disciplinarsi. E che con il tempo la sua vena si sia così opacizzata. Del resto, era lui a dirlo: la malattia, la clausura non insegnano niente, neppure a uno scrittore. Se si fosse meglio amministrato, se non avesse usato la scrittura per colmare quel gigantesco buco, forse oggi i suoi scritti migliori sarebbero inseriti nelle più selettive antologie del Secondo Dopoguerra. Ma dopotutto chi se ne frega delle antologie?

Alcuni poemi....   METASTASI
La mia vita aveva radici
avvelenate. Ora che non ho
più vita, ma una sequela
di giornate slegate, allucinate,
il veleno è passato
nella mia voce altezzosa
o in apparenza dimessa.
Non prendetela
dunque sul serio, è solo
una foce di rivi
inquinati da amore
di arido falansterio o da odio
dolente d’integri vivi.


RINASCITA


Dimesso il pensiero
d’un addio alla vita, ho voglia
di giocare anch’io nel bene
e nel male la mia esistenziale
partita, di guardare sereno
da una soglia.

SCADENZA

Sul loro consueto muretto
i vecchi pensionati leggono
il giornale, sereni, eppure
la morte li sfiora, quasi
li rende sacri, ed essi
ne apprendono i connotati dai
quotidiani massacri.


DOMITILLA

Un'ombra di
smarrimento e di resa velava
i tuoi occhi mentre
mi cavalcavi selvaggia
e maliosa,
ma solo in apparenza
vittoriosa. La gloria
di donarti e di essere tu soprattutto
ad amare era
in realtà la tua vera
vittoria.


SENZA SCAMPO

Non avevo speranze,
ora non ho più neanche
nostalgie, vivo
nel presente, macigno
d’inutilità, cigno
prigioniero senza canzoni
di libertà o guiderdoni
perversi di virile
banalità.








1 commento:

  1. Un concentrato di emozioni forti che pongono interrogativi profondi. Un abbraccio Emilio e grazie di questa tua condivisione

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